Luogo di confine e di transito per le vie del sale che risalivano verso il piacentino, la val d’Aveto è da sempre una terra selvaggia e affascinante, fatta di laghi e corsi d’acqua, cime innevate, distese di boschi, dove si raccontano storie di mulattieri e di monaci, di lupi e di viandanti.
La montagna vera, l’Appennino profondo e immacolato, l’odore di selvaggio e di selvatico sono gli elementi ricorrenti lungo le strade della val d’Aveto. Un destino immaginato già dal torrente omonimo, che nasce tra i faggi a pochi chilometri dal mare (in linea d’aria), ma si butta verso nord-est inseguendo il Po e il lontano Adriatico. Il passo della Scoglina segna lo spartiacque: di là la Fontanabuona e la promessa ancora vaga di Mediterraneo, di qui le asperità montane e – a breve distanza – il borgo di Barbagelata. Con i suoi 1115 metri è il più alto della provincia di Genova: un paese quasi spopolato ma di origine medievale, un luogo di transito e di incontro che venne messo a ferro e fuoco dai nazifascisti nell’agosto del 1944.
Dalla Scoglina la prima parte del percorso si snoda in un bell’altipiano, tra piccole frazioni, case sparse, grandi distese erbose. Un po’ nascosto, dove la strada incontra la provinciale che sale da Chiavari, c’è il borgo medievale di Ventarola, un tempo porta d’ingresso della valle. Intorno a questo gruppo di case oggi un po’ decadenti, allineate nello schema tipico dei borghi di strada, si raccontano storie e leggende di ogni tipo, che hanno mulattieri, briganti, viandanti e perfino lupi come protagonisti. Cabanne è il primo vero centro della valle. La piana, un tempo paludosa, venne bonificata dai monaci di Villa Cella, insediatisi qui nell’Alto Medioevo. I monaci riuscirono ad allargare il torrente a Farfanosa, facendo defluire l’acqua. Oggi vi pascolano le vacche cabannine, una razza autoctona particolamente adatta al clima rigido e ai terreni impervi della valle. A Cabanne misero la loro residenza anche i Della Cella, i signori dell’Aveto (per quanto formalmente vassalli delle famiglie genovesi): di fronte alla chiesa si trova la casa-fortilizio della famiglia.
La strada supera Farfanosa, dove il corso d’acqua diventa impetuoso e la valle si incassa. Una breve deviazione conduce a Villa Cella, dove visse per secoli la comunità benedettina: di quei tempi sono rimasti solo la chiesa di San Lorenzo e un vecchio mulino, ricavato forse da alcuni locali del monastero. Rezzoaglio è un paese tranquillo appoggiato all’ansa del torrente, con il suo ponte medievale e la chiesa di San Michele dall’altissimo campanile barocco. Alle pendici del monte Aiona si trova quello che viene definito un angolo di Alpi in mezzo agli Appennini: è la riserva naturale della Agoraie, nel cuore della foresta delle Lame. La riserva protegge un gruppo di laghetti risalenti all’ultima glaciazione, tra i quali spicca il Lago degli Abeti, che ospita sul fondo tronchi fossili di 5 mila anni fa.
La modernità della villeggiatura e le tradizioni contadine: Santo Stefano, vero e proprio capoluogo dell’Aveto, è una cittadina di forti contrasti. Della parte antica restano la via centrale e la piazzetta sulla quale affaccia la casa della Giudicatura. Il borgo si presentava compatto ai piedi del castello, che ancora oggi mostra il suo aspetto maestoso: un pentagono irregolare fatto di grossi blocchi di peitre squadrate, con bastioni difensivi su quattro dei cinque vertici. Paese e castello sono alle pendici del monte Maggiorasca, la vetta più alta del genovesato con i suoi 1804 metri. Il complesso montuoso, frequentato dagli sciatori d’inverno e dagli escursionisti d’estate, luogo sacro per gli antichi liguri, è un confine naturale: divide le vallate dell’Aveto (Genova), del Nure (Piacenza) e del Ceno (Parma).
In collaborazione con Rossi 1947 s.r.l. Ignora