Una sequela di borghi bellissimi e ben conservati, tutti simili nella struttura e ognuno unico per le storie che racconta: le rose e vigneti, Biamonti e Monet, le arpe e il teatro, Canavesio e Cassini, i druidi e gli inglesi.
I liguri Intemeli, la Magnifica Comunità degli Otto Luoghi, Genova e i Savoia, la Riviera ottocentesca degli inglesi: l’ultimo lembo occidentale di Liguria è un libro aperto di storia e di storie, che ne hanno disegnato i profili e le vie, dipanandosi dalle valli verso la costa e dal mare verso i monti. Si parte dai due chilometri di lungomare di Bordighera, inaugurati da Evita Perón nel 1947, chiusi dal capo di Sant’Ampelio e dalla sua chiesetta medievale. Intorno le residenze che la resero “Regina delle Palme” nell’Ottocento, poco più in alto la città vecchia, con il suo fascino intatto di antico borgo fortificato. Andando verso ponente s’incontra Vallecrosia, che a pochi chilometri dal traffico della costa nasconde un centro storico ben conservato e arricchito da porte dipinte e statue di legno. La tappa successiva – sempre seguendo il torrente Verbone – è San Biagio della Cima, borgo delle rose e delle mimose, di strade strette e chiese antiche, borgo soprattutto di Francesco Biamonti, che qui visse e che tra queste colline e queste fascie ambientò i suoi romanzi.
Da San Biagio si scende verso Camporosso, storico centro agricolo e porta della val Nervia. La valle si stringe e la strada prosegue tortuosa, fino a svelare quasi d’improvviso il nucleo compatto e incantevole di Dolceacqua. Stretto tra il castello dei Doria e il torrente, il borgo si sviluppa per gironi concentrici, in un dedalo di rampe, scalinate e passaggi coperti, a cui fa da contraltare l’eleganza leggiadra del ponte amato da Monet che congiunge le due rive. Siamo nella terra del Rossese, prima doc della Liguria, un vino apprezzato da papi e imperatori; ma Dolceacqua è nota anche per la michetta, un dolce storico che la leggenda vuole legato al medievale sopruso dello ius primae noctis. Da Dolceacqua si può fare una breve deviazione verso Rocchetta Nervina, altro borgo molto ben conservato costruito alla confluenza di due torrenti di montagna, nei quali gli appassionati di canyoning troveranno di che divertirsi, oppure restare lungo la via principale per arrivare a Isolabona, nato anch’esso alla confluenza di due corsi d’acqua. Il paese, nel cui nucleo storico spicca la fontana ottagonale del 1486, è conosciuto in tutto il mondo per il festival internazionale di arpe. Nel cuore della valle, arroccata su un pendio, Pigna per secoli si è contrapposta alla vicina Castelvittorio: roccaforte dei Savoia la prima, genovese la seconda. Il nome da solo racconta la struttura chiusa del borgo, con le case di pietra le une sulle altre, a cerchi concentrici. Pigna nasconde diversi tesori d’arte, ma il più prezioso è senza dubbio la chiesa di San Bernardo, con il suo straordinario ciclo di affreschi del Canavesio. Dopo Pigna, la valle si fa definitivamente alpina: Buggio è un piccolo centro di montagna, mentre foreste maestose e ripide pareti dominano il panorama tra Margheria dei Boschi, gola di Gouta e il monte Toraggio.
Da Dolceacqua (o da Isolabona), risalendo il versante orientale della valle, si può raggiungere anche Perinaldo, borgo di crinale che svetta su un anfiteatro naturale coperto di ulivi secolari e orti (famoso è il carciofo locale). Il figlio più illustre del paese è Gio. Domenico Cassini, il più grande astronomo del Seicento, a cui è dedicato il locale osservatorio astronomico. Il borgo venne fondato dai conti di Ventimiglia, intorno all’XI secolo: un’origine condivisa con Apricale, che sorge poco distante in un luogo abrigu, ovvero baciato dal sole. Che sia davvero così lo si capisce arrivando: il paese, arroccato sul suo sperone roccioso, scintilla di luce. Il borgo, profondamente medievale, ruota intorno al castello della Lucertola e alla meravigliosa piazza sottostante, e da molti anni è la quinta naturale per spettacoli di teatro itinerante.
In collaborazione con Rossi 1947 s.r.l. Ignora