Una costa tutelatissima e un ambiente forgiato dall’uomo nei secoli, cesellando le montagne per ottenerne terra coltivabile, costruendo in equilibrio verticale piccoli borghi coloratissimi e chiese monumentali. Le Cinque Terre sono uniche al mondo, irripetibili, indescrivili: percorrerle senza fretta è l’unico modo per capirle.
Non si possono descrivere, le Cinque Terre: le parole non bastano, l’incanto diventa retorica, le sensazioni si confondono e sfuggono. Sono montagne e vertigini, piramidi precipitate nel mare con brutalità e poi cesellate finemente dall’uomo, pietra dopo pietra, fascia dopo fascia, filare dopo filare. Sono grappoli di case e mucchi d’uva, colori sgargianti che appena macchiano il blu del mare e l’azzurro del cielo, sono minuscoli sentieri e trenini che sembrano giocattoli. Sono difficili, aspre, senza strade: la visita è fatica delle gambe, impegno fisico, appena mitigato dalla ferrovia che buca le montagne e unisce i borghi, uno dopo l’altro, senza mai avere fretta.
Si parte da Framura, che Cinque Terre ancora non è, ma in qualche modo le anticipa: cinque piccoli borghi dominati in alto dalla torre carolingia di San Martino a Costa, spiagge e insenature nascoste, un mare pulito e una natura selvaggia. Sopra Porto Pidocchio comincia la ciclabile Maremonti, sei chilometri di ex ferrovia scolpita tra la roccia e le onde. Pedalando o passeggiando si arriva a Bonassola, con la sua aria balneare e sorniona, i tramonti alla Madonna della Punta, lo spettacolo del wave watching. Dopo Bonassola la ciclabile diventa luminosa, le gallerie lasciano il posto al cielo, piccole spiagge punteggiano il cammino. Siamo a Levanto, una storia antica narrata dai suoi splendidi monumenti medievali, la loggia comunale, la chiesa di Sant’Andrea, casa Restani. E una spiaggia lunga un chilometro, sabbia e ciotoli, balneazione facile, merce rara da queste parti.
A Levanto si prende il treno, si entra nella Cinque Terre. Poco importano i prezzi alti, la folla, la mancanza di servizi: siamo in un paradiso verticale, siamo in una bellezza di sale e di arsura, di spruzzi e di fatica, di terra difficile e mare insidioso. Monterosso è la prima, la più popolosa e quella con la spiaggia più ampia. I resti del castello e delle fortificazioni, il centro storico, la chiesa di San Giovanni raccontano una lunga storia. Ma la più a Ponente tra le Cinque Terre è anche le poesie di Montale, le passeggiate al Mesco, le acciughe e i limoni. La seconda è Vernazza, un nome legato al vino, un paese cinto dai vigneti, vicoli stretti per proteggersi dagli invasori, case colorate perché i marinai potessero scorgerle anche da lontano. Vernazza è verticale, al limite della fisica, equilibrio incerto verso il mare, compreso quel capolavoro assoluto che è la chiesa gotica di Santa Margherita di Antiochia.
Per terza viene l’eccezione, il Mediterraneo che si allontana, un mare verde dove galleggiare. Una manciata di case e una chiesa bellissima, tutto intorno vigneti e terrazze coltivate. Corniglia, la più piccola delle Cinque Terre, ha lo stesso fascino raccolto e verticale delle altre, ma è unica: non è sul livello del mare, la sua gente è cresciuta tra i campi più che tra le onde. Eppure, qui dove è nato il mito del vino locale, c’è Guvano, una delle più belle spiagge della Liguria. Si scende a prendere il treno, si prosegue, la quarta tappa sbuca dopo una galleria. Manarola è forse la più scenografica, piccole case e vicoli obliqui, tutto un paese che sale ripido fino alla splendida chiesa di San Lorenzo e che scivola verso il mare, ma sembra quasi non volerlo incontrare, con la sua terrazza sospesa sulle onde e appoggiata a pareti di roccia nere e verticali. Gli ultimi sospiri, le ultime fatiche sono tutte per Riomaggiore. Più che altrove, colpisce la ricerca spasmodica di ogni centimetro utile, ogni spazio che possa diventare abitazione, laboratorio, cantina o fascia coltivabile. Stretto tra due ripide colline, Riomaggiore ha case alte e vicoli stretti, volte, androni e scale, un alternarsi continuo e imprevedibile di pieni e di vuoti, di luci e di ombre. Con Riomaggiore finiscono le Cinque Terre, ma non sembrano saperlo i gruppi di case e cantine di Tramonti e Monesteroli, di Persico e Fossola, ancora vigne senza fine, scalinate per centinaia di passi e salsedine nei polmoni, onde che sbattono su rocce rosse di ferro o nere d’ardesia. Fondati o meno dai berberi, lavorati per secoli dai contadini di Biassa e Campiglia, queste terre sono rimaste ai margini del turismo di massa: gente sincera, vino buono, il campanile di Santa Caterina a guardare tutto, i tramonti diversi ogni giorno e ogni giorno un sentiero nuovo per camminare.
In collaborazione con Rossi 1947 s.r.l. Ignora